Parafrasi: Mi fu sempre caro questo colle solitario, e questa siepe, che sottrae allo sguardo gran parte dell’estremo orizzonte. Ma sedendo e contemplando, mi immagino nel pensiero spazi senza fine al di là da quella, silenzi sovrumani e una quiete profondissima, dove per poco il cuore non è preso da una sensazione di smarrimento. E quando sento il vento frusciare tra queste piante, io vado a confrontare quell’infinito silenzio con questo rumore: e il mio pensiero corre all’eternità, alle epoche passate, a quella presente, che è viva, e alle notizie che la riguardano, Così il mio pensiero sprofonda in quest’immensità, ed è dolce per me naufragare in questo mare di meditazioni.
La poesia è una lirica composta da quindici versi endecasillabi sciolti, raggruppati in una sola strofa. Sono presenti numerosi enjambement: da tanta parte/dell’ultimo orizzonte (vv. 2 – 3), interminati/spazi (vv. 4 – 5), sovrumani/silenzi (vv. 5 – 6), quiete/io nel pensier (vv. 6 – 7), il vento/odo stormir (vv. 8 – 9), quello/infinito silenzio (vv. 9 – 10), voce/vo comparando (vv. 10 – 11), presente/e viva (vv. 12 – 13), questa/immensità (vv. 13 – 14). La maggior parte di essi ha la funzione di mettere in evidenza alcune parole (come interminati, sovrumani), per farle spiccare ed attribuire ad esse maggiore importanza.
Un’altra parola chiave è il ma ad inizio del v. 4, che indica il contrasto tra la limitatezza dei sensi, che non riescono a vedere ciò che si trova oltre la siepe, e le possibilità infinite dell’immaginazione, che scorge spazi immensi. Importanti sono anche i dimostrativi questa, questo: usati solitamente per riferirsi ad oggetti vicini, sono associati dal poeta all’immensità e al mare perché ormai egli sente più prossimi a sé gli spazi creati dalla sua immaginazione che quelli reali.
Gli endecasillabi sono piani e gli accenti ritmici, variabili, determinano un ritmo che si può definire meditativo, calmo, solenne. È possibile rintracciare allitterazioni di vari suoni: la r (Sempre caro mi fu quest’ermo colle, v. 1) che produce tormento; la s, che vuole riprodurre il silenzio (sovrumani silenzi, vv. 5 – 6) o il rumore delle foglie (stormir); la p (ove per poco il cor non si spaura, vv. 7 – 8), la t (e mi sovvien l’eterno,/e le morte stagioni, e la presente, vv. 10 – 12) che trasmettono un senso di solitudine, ma anche di calma, pace e dispersione nell’infinito. Sono presenti anche assonanze (interminati…sovrumani, vento…quello…eterno) e consonanze (sedendo e mirando, vento…piante…presente) che scandiscono la profonda riflessione del poeta.
Oltre a quelle di suono, sono presenti anche figure retoriche di significato. Vi sono personificazioni, come sempre caro mi fu quest’ermo colle (il colle è visto come una persona fedele, un amico sempre caro) e il cor non si spaura (al cuore sono attribuite sensazioni di paura, tipiche degli uomini). Sono frequenti le iperboli, esagerazioni che riguardano le parole chiave del vago e dell’indefinito (interminati spazi, ossia spazi senza confini; sovrumani silenzi, profondissima quiete che indicano la pace e la tranquillità totale dell’infinito, eterno). Negli ultimi versi, Così/tra questa immensità s’annega il pensier mio:/e’l naufragar m’è dolce in questo mare, sono presenti una metafora e un ossimoro: al poeta piace perdersi nei suoi pensieri e nei suoi silenzi, il che equivale per lui a naufragare nel mare dell’immaginazione; di conseguenza il naufragio, di solito associato ad un evento negativo, per lui è dolce.
Tra le figure retoriche di costruzione troviamo invece il polisindeto (ripetizione della congiunzione e ai vv. 11 – 13) e l’iperbato (io quello … vo comparando). In generale, la funzione delle figure retoriche è attribuire allo spazio una dimensione quasi umana, perché in fondo l’infinito, legato all’immaginazione, è come il secondo mondo dell’uomo.
La poesia di Leopardi è “lirica”, cioè nel testo egli esprime i propri pensieri e le proprie sensazioni; in esso troviamo perciò riferimenti alla sua biografia. Egli spiega che la quella collina dove si recava di tanto in tanto gli era ormai cara e su di essa gli piaceva “guardare con la mente” oltre la siepe che copriva la vista, e immaginarsi spazi infiniti e sovrumani silenzi. Leopardi, quando scrive L’infinito, è nella fase del “pessimismo individuale”, in cui crede che solo lui debba essere infelice e che l’unica salvezza sia contemplare la natura: vorrebbe che la sua vita fosse aperta come l’infinito. La lirica rispecchia perciò la sua esistenza: il poeta andava in cima al colle, a guardare oltre la siepe, dietro alla quale c’era il mondo che sperava di vedere un giorno.
Il tema della poesia è quindi la condizione limitata dell’uomo, su cui il poeta riflette: l’uomo si rifugia nell’infinito creato dall’immaginazione per scappare dalla prigionia della sua condizione. Con gli occhi, l’uomo ha delle possibilità di vista molto limitate, mentre con la mente si hanno delle possibilità di osservazione infinite, infatti con l’immaginazione si può arrivare a guardare dappertutto. La poesia è contemplativa, tuttavia il poeta sembra trasmetterci comunque un messaggio: quello di guardare oltre la realtà e di indicarci che l’unico scampo alla prigionia esistenziale è usare l’immaginazione per osservare e desiderare l’infinito, per creare con la fantasia una realtà migliore. Infatti, anche se la siepe sottrae alla vista l’orizzonte, con l’immaginazione si riesce comunque a vedere ogni cosa. Leopardi vuole spingerci oltre, esortarci a tentare, a perseverare: non dobbiamo limitarci a guardare la realtà così come ci appare, ma dobbiamo approfondire l’osservazione e riflettere. Certo, l’illimitata immaginazione può suscitare paura, ma è piacevole perché fa evadere dalla realtà quotidiana. Il naufragio nel mare dei pensieri per Leopardi è dolce perché è consolatorio: il pensiero del poeta svanisce, si disperde, mentre guarda la bellezza del mondo e di tutto ciò che lo circonda; egli non agisce, è solo incantato da tale bellezza. A volte sottovalutiamo il dono della natura, ma dobbiamo ricordare che, oltre ad essere fondamentale per la sopravvivenza, essa è capace di incantarci totalmente.
Oltre all’ultima del naufragio, una delle immagini più belle della poesia è quella in cui il poeta sente il rumore delle epoche passate, che viene paragonato al fruscio delle foglie, perché sarebbe straordinario ascoltare nella mente i rumori delle spade in battaglia, i nitriti dei cavalli in lontananza, immaginarsi i cavalieri che combattono per la patria o per la propria dama, e perdersi in questa dolce immensità di pensieri.